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Sentimenti ai tempi del Covid-19: risorse e strategie per gestirli

L’ingresso del Covid-19 nelle nostre vite ha portato allo stravolgimento della realtà che viviamo e all’emergere di sentimenti a volte difficili da gestire. E’ importante attivare tutte le risorse e strategie per affrontare al meglio questa difficile situazione.

In pochi giorni grandissimi cambiamenti

A fine dicembre qualche caso di polmonite anomala veniva registrato in una città della Cina.

Il 10 gennaio 2020 l’Oms divulgava la notizia dell’individuazione di un nuovo ceppo di coronavirus e nei giorni successivi della trasmissione dello stesso da uomo a uomo.

In quei giorni la Cina ci sembrava ancora molto lontana e il sentimento prevalente era l’incredulità. La preoccupazione per il diffondersi del virus non occupava ancora i nostri pensieri.

I primi contagi in Italia risalivano alla fine di gennaio e di quegli stessi giorni l’Oms dichiarava lo stato di emergenza globale.

Il 21 febbraio 2020 si registravano contagi nella provincia di Lodi di persone non provenienti dalla Cina.

Da allora parole, gesti, pensieri, emozioni e relazioni sono rapidamente cambiati: si parla di malattia e contagio, isolamento, quarantena, chiusura delle scuole e poi di molte attività produttive, di zona rossa e di zona protetta, di decreti e restrizioni, di crisi economica. Ciascuno ha imparato ad interessarsi ai numeri del contagio, della guarigione e della morte.

In poche settimane abbiamo sentito vacillare molte sicurezze. L’imperativo per tutti è diventato Io resto a casa.

L’11 marzo L’Oms dichiarava lo stato di pandemia.

Dall’inizio della diffusione del Covid-19 la Cina e a seguire molti altri paesi hanno preso la decisione di chiedere alla popolazione di restare in casa, di isolarsi. Si parla di quarantena per chi è venuto a contatto con il virus e di vero e proprio isolamento per chi lo ha effettivamente contratto ed è positivo al tampone o sintomatico. La quarantena è la separazione e la restrizione del movimento delle persone potenzialmente esposte a una malattia contagiosa per accertare se si ammalano, riducendo così il rischio di infettare altri.

Nella fase in cui ci troviamo attualmente cresce la consapevolezza della necessità di restare a casa per proteggere noi stessi e gli altri, compresi quelli particolarmente vulnerabili cioè i molto giovani, gli anziani o le persone con condizioni mediche gravi preesistenti dal diffondersi del virus.

Il diffondersi del virus ha portato necessariamente al cambiamento radicale delle nostre abitudini di vita: impossibilità di uscire da casa se non per comprovate e importanti necessità, lavoro da casa, riduzione o interruzione dell’attività lavorativa, perdite finanziarie, riduzione dei contatti sociali e fisici con gli altri fino ad arrivare a modi diversi di vivere la malattia, la morte e il lutto

Dal punto di vista psicologico possiamo sperimentare differenti vissuti

  • Ci sono momenti in cui si vive una sensazione di irrealtà perché è difficile affrontare e accettare una situazione che nessuno era preparato a vivere
  • Nella situazione attuale abbiamo paura di ammalarci e di contagiare altri, di perdere una persona cara cosi come delle ripercussioni che questa situazione può avere sul lungo periodo.

La paura è un’emozione primaria cioè presente fin dalla nascita e molto utile per la sopravvivenza.

Si attiva quando percepiamo uno stimolo come dannoso cioè come una minaccia per il nostro organismo. Questo ci consente di proteggerci, difenderci, metterci in sicurezza e quindi ha un grande valore adattivo.

Ciascuno di noi sta vivendo questo periodo sperimentando, anche de in misura diversa da persona a persona, paura e ansia. Spesso la tendenza è di tenere la televisione accesa a lungo o controllare più volte al giorno notizie alla ricerca di nuovi aggiornamenti

Inoltre molti cercano i sintomi su internet prestando particolare attenzione ai segnali che provengono dal corpo nel tentativo di rassicurarsi.

Moderati livelli di attivazione, allerta e paura ci consentono di tollerare meglio il fatto di dover restare a casa e mantenere la distanza dalle persone, di indossare protezioni come guanti e mascherine, di rispettare precise norme igieniche come lavare accuratamente e disinfettare le mani e igienizzare le superfici.

La paura può diventare panico con la sintomatologia tipica o ansia generalizzata, per cui un pericolo limitato e contenuto di contagio viene generalizzato percependo ogni situazione come rischiosa ed allarmante.

La paura può prendere la forma dell’ipocondria, intesa come tendenza a eccessiva preoccupazione per il proprio stato di salute percependo ogni minimo sintomo come un segnale di infezione da Coronavirus.

  • E’ altrettanto comune sperimentare segnali di stress post traumatico dettati dalla portata dell’evento che stiamo vivendo, dall’esposizione ripetuta a immagini di dolore e di morte, dal protrarsi dello stato di incertezza.

Reazioni normali e comuni da stress post-traumatico possono essere disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, difficoltà nel memorizzare nuovi concetti, dipendenze, affaticamento o mancanza di energia, irritabilità e irrequietezza, tendenza alla chiusura e all’isolamento.

  • Ancora è possibile sperimentare rabbia per le limitazioni alla vita quotidiana e alla libertà, per una situazione percepita come ingiusta e non accettabile, per il crollo della progettualità.

La rabbia è anch’essa un’emozione primaria con funzione adattiva. E’ determinata dall’istinto di difendersi per sopravvivere nell’ambiente in cui ci si trova.

Molte persone sono alla ricerca di un colpevole che difficilmente può essere qualcosa d’invisibile e incontrollabile e che solleciterebbe vissuti di impotenza. Così può accadere di provare una rabbia anche molto intensa verso chi sottovaluta e non adotta comportamenti adeguati. Può aumentare la percentuale di atti impulsivi, dell’aggressività agita verso sé stessi o gli altri

  • Le caratteristiche del Coronavirus e la sua diffusione contribuiscono a farci sentire vulnerabili e spesso impotenti. Questo, unito alla perdita di rassicuranti abitudini quotidiane e del contatto con familiari ed amici, contribuisce alla crescita del disorientamento.
  • Infine la tristezza nasce dal contatto con la fatica, l’angoscia e il dolore che sentiamo sempre più vicino, con la perdita di prospettive e di speranza.

Per questo è importante mettere in campo diverse strategie per fronteggiare al meglio la situazione

  • Coltivare dove possibile le abitudini e proseguire nelle normali attività quotidiane aiuta a recuperare controllo e progettualità.
  • Per tollerare e gestire al meglio la situazione che stiamo vivendo occorre capire cosa sta succedendo e perché: è importante accedere all’informazione al massimo 1 o 2 volte al giorno al fine di prevenire un sovraccarico soprattutto emotivo e cercare informazioni da fonti ufficiali e affidabili basate su dati scientifici e dati reali
  • Non isolarsi cercando di mantenere vive le relazioni interpersonali anche con strumenti e modalità nuove come le videochiamate o le chiacchiere dai balconi permette di condividere, sentire meno la solitudine, distrarci e migliorare l’umore
  • Avere un ritmo di vita regolare cioè curare il corpo, l’alimentazione, dedicare tempo al riposo, cercare di dormire sempre alla stessa ora
  • Fare attività che aiutano a rilassarsi che coinvolgano la mente e il corpo (stretching e yoga, meditazione, lettura, cucina, giardinaggio, giochi o attività creative)
  • Dedicarsi a coltivare interessi, svolgere attività piacevoli e gratificanti migliora l’umore e rinforza un positivo senso di sé.
  • Fare esercizio fisico consente di attivare il corpo e calmare la mente, concentrarsi sul momento presente, scaricare almeno in parte la tensione, facilitare il sonno
  • Trovare modi per aiutare gli altri cercando modalità di coinvolgimento nelle proposte della e per la comunità a cui si appartiene consente una partecipazione attiva e costruttiva nella gestione dell’emergenza.

Provare tante emozioni spesso fastidiose e difficili da gestire è normale a fronte di ciò che sta accadendo. Ogni persona reagisce in modi differenti attingendo dalle proprie risorse e provando difficoltà in funzione di fragilità pregresse. E’ importante poter parlare con qualcuno da cui sentirsi accolti e compresi e se necessario chiedere aiuto per affrontare ed elaborare sia la quotidianità che le vicende più dolorose.

Lutto e Perdita. Dal dolore all’elaborazione

Lutto e Perdita.

Il lutto è definibile come “lo stato psicologico conseguente alla perdita di un oggetto significativo, che ha fatto parte integrante dell’esistenza ”.

Quando parliamo di lutto ci riferiamo spesso alla morte di una persona cara ma esperienze dolorose di cambiamento e perdita possono riguardare diverse situazioni: la fine di una relazione, il licenziamento o il pensionamento, un trasferimento, un aborto.

Ogni esperienza di perdita può causare grande dolore, vissuti di vuoto e solitudine, disorientamento e abbandono. Tali vissuti vanno elaborati per tornare al benessere.

Elaborare il lutto significa dunque affrontare la perdita e il dolore connesso, accettarlo per trovare gradualmente un nuovo equilibrio, andare avanti e vivere serenamente la vita.

Nel 1969 la psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross, pubblicava il libro La morte e il morire.
Davanti a ogni grande perdita e dolore, sosteneva la studiosa, le persone attraversano cinque fasi: prima lo shock e la negazione, cioè quel meccanismo di difesa che ci porta a non volere credere a ciò che è accaduto; dopo la rabbia, il desiderio di ribellione; poi la negoziazione, la ricerca di spiegazioni e soluzioni; dopo ancora la depressione, cioè una resa; e infine l’accettazione seguita dalla speranza.

Quando viene a mancare una persona cara, in un primo momento non c’è ancora la piena presa di contatto con il lutto e il dolore. E’ il tempo in cui spesso ci si deve occupare di questioni pratiche come l’organizzazione del funerale e spesso ci si protegge negando a livello emotivo l’accaduto. Di solito dura pochi giorni o settimane ma può accadere che si viva una particolare fatica ad affrontare la perdita che per questo viene negata in modo prolungato. In questo caso si parla di non accettazione della perdita.

Quando si realizza la perdita, che per lo più viene vissuta come priva di senso, subentra il dolore intenso che viene sperimentato a livello sia emotivo sia fisico (pianto, disorientamento, distubi psicosomatici) e si può arrivare a pensare che niente nella propria vita abbia senso. Emergono allora difficoltà, angoscia e rabbia rivolta verso l’esterno o verso se stessi.

Con il passare del tempo si può sperimentare una sorta di oscillazione tra negazione e realtà: la persona in lutto vive alternativamente momenti di profondo struggimento in cui è completamente immersa nel dolore e nel senso di vuoto accanto a momenti in cui tenta una ricostruzione della propria vita, di nuove motivazioni e nuovi ruoli. Queste due polarità si alternano prima per poi integrarsi. Quando invece restano cristallizzate sono alla base della faticosa elaborazione del lutto che si esprime sia nell’impossibilità di affrontare il dolore e ripensare alla perdita (rifiuto-negazione) sia nell’incapacità di accettare la separazione (depressione).

In momenti successivi, la persona che vive il lutto tenta di reagire all’impotenza cercando delle risposte o trovando soluzioni per spiegare o analizzare l’accaduto per poi giungere alla consapevolezza piena, razionale ed emotiva, dell’irreversibilità della perdita.

Per elaborare il dolore del lutto è necessario accettarlo, viverlo, attraversarlo. È necessario integrare la perdita nella propria storia perché la morte stessa assuma un significato anche ricostruendo una ritualità. L’elaborazione del lutto è dunque un processo di adattamento alla perdita. Inoltre spesso emerge la necessità di lavorare sulla ridefinizione delle relazioni familiari, dei ruoli, dei legami e delle comunicazioni. Ciò aiuta a dare senso alle esperienze, a superare non-detti, incomprensioni e conflitti.

E’ necessario ristabilire una connessione profonda con la persona defunta recuperando ricordi, emozioni e sentimenti. Lentamente si porta dentro di sé il ricordo e si acquisisce la consapevolezza che il rapporto con la persona cara non è andato perduto ma si è trasformato e continuerà a trasformarsi. Allora può avvenire una progressiva riorganizzazione dell’esperienza e un’apertura alle relazioni con altri, agli interessi e al futuro.

L’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) nei casi di lutto, favorisce l’elaborazione delle varie fasi favorendo l’emergere di ricordi positivi, l’adattamento alla perdita e la sua elaborazione.

TRAUMA

“Ogni rovescio ha il suo dritto,

ogni destino può essere riscritto,

Non c’è male da cui non venga il bene,

dalle ore buie nascono le sirene”

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità il trauma è il risultato mentale di un evento o una serie di eventi improvvisi ed esterni in grado di rendere l’individuo temporaneamente inerme e di disgregare le sue strategie di difesa e di adattamento.

Il trauma psicologico è un evento che disorganizza la mente e crea una ferita del sé, rompe il consueto modo di vivere e vedere il mondo perché risulta “non integrabile” nella persona e nella su storia. Per questo ha un impatto negativo sul soggetto che lo vive, rimane dissociato dal resto dell’esperienza psichica e può causare una sintomatologia specifica.

Esistono diverse forme di esperienze potenzialmente traumatiche a cui può andare incontro una persona nel corso della vita. Esistono i “piccoli traumi” o “t”, ovvero quelle esperienze soggettivamente disturbanti che sono caratterizzate da una percezione di pericolo non particolarmente intesa (un’umiliazione subita o delle interazioni brusche con delle persone significative durante l’infanzia). Di solito si tratta di traumi che coinvolgono la relazione. Accanto a questi traumi di piccola entità si collocano i grandi traumi o “T”, cioè tutti quegli eventi che portano alla morte o che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone care (disastri naturali, abusi, incidenti).

L’evento traumatico, secondo i criteri diagnostici del DSM, comporta l’esperienza soggettiva di un senso di impotenza e vulnerabilità di fronte a una minaccia, soggettiva od oggettiva, che può riguardare l’integrità fisica della persona o, più in generale, il suo senso di sicurezza psicologica.

Non tutte le persone che vivono un’esperienza traumatica reagiscono allo stesso modo. Le risposte subito dopo uno di questi eventi possono essere moltissime e variare dal completo recupero e il ritorno ad una vita normale in un breve periodo di tempo, fino alle reazioni più gravi, quelle che impediscono alla persona di continuare a vivere la propria vita come prima dell’evento traumatico. Può accadere che la persona sviluppi schemi intrapsichici utili a gestire la situazione, l’altro e le proprie emozioni. Ad un certo punto poi si verifica un “evento precipitante” che riattiva le stesse reti mnestiche coinvolte dal trauma primario e si assiste allo sviluppo di un sintomo.