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BONUS PSICOLOGO CONFERMATO PER IL 2024

Il Bonus Psicologo è stato confermato per l’anno 2024 con un finanziamento di 8 milioni di euro ripartito proporzionalmente tra le regioni italiane.

La domanda per usufruire del bonus potrà essere presentata attraverso il portale INPS, (accessibile al seguente link: https://shorturl.at/jwIVX dal 18 marzo fino al 31 maggio 2024. Tale finestra è basata sui fondi stanziati nel 2023, mentre per i fondi stanziati nel 2024 verrà in seguito aperta un’ulteriore finestra. La richiesta potrà essere effettuata una sola volta all’anno.

I beneficiari dei fondi saranno individuati attraverso la redazione di graduatorie, che saranno stilate sulla base dell’ISEE dei richiedenti (in corso di validità e non superiore a 50 mila euro). L’importo attribuito a ciascun beneficiario dipenderà dalla fascia ISEE di riferimento:

  • ISEE inferiore ai 15mila euro → importo massimo 1500 euro
  • ISEE compreso tra 15mila e 30mila euro → importo massimo 1000 euro
  • ISEE compreso tra 30mila e 50mila euro → importo massimo 600 euro

Il costo massimo per seduta è fissato a 50 euro.

A decorrere dalla data di accettazione della domanda, i beneficiari riceveranno un codice univoco: tale codice dovrà essere comunicato al terapeuta, e si avranno a disposizione 270 giorni per usufruire dei fondi.

BONUS PSICOLOGO

Norme attuative BONUS PSICOLOGO
È stato approvato il 28 aprile in Conferenza Stato Regioni un documento del Ministero della Salute di concerto con il ministero dell’Economia che definisce le modalità per presentare la domanda per accedere al contributo economico, la sua entità e i requisiti necessari per la sua assegnazione.
È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Bonus Psicologico.

Chi può richiedere il bonus?
Le persone che rispettino questi requisiti:

  • essere in condizione di depressione, ansia, stress e fragilità psicologica, a causa dell’emergenza pandemica e della conseguente crisi socio-economica;
  • possedere un reddito ISEE in corso di validità, ordinario o corrente non superiore a 50.000 euro.


Chi può erogare le prestazioni finanziate dal bonus?

Esclusivamente i professionisti privati appartenenti all’albo degli psicologi e annotati come psicoterapeuti sul medesimo albo che abbiano dichiarato all’ordine regionale di appartenenza la propria adesione all’iniziativa “bonus psicologo”.


Quale sarà l’importo del finanziamento erogato per ogni beneficiario?

Al fine di sostenere le persone con ISEE più basso, il beneficio sarà così stabilito:

  • Se l’ISEE è inferiore a 15.000 il beneficio, fino a 50 euro per ogni seduta, è erogato  fino al raggiungimento dell’importo massimo di 600 euro;
  • Se l’ISEE è compreso tra 15.000 e 30.000 euro il beneficio, fino a 50 euro per ogni seduta, è erogato fino al raggiungimento dell’importo massimo di 400 euro;
  • Se l’ISEE è superiore a 30.000 e non supera i 50.000 euro il beneficio, fino a 50 euro per ogni seduta, è erogato  fino al raggiungimento dell’importo massimo di 200 euro.

Come fare la richiesta?

  • La richiesta del “bonus” è presentata in modalità telematica all’INPS e dovrà essere effettuata a partire ed entro una data che deve ancora essere definita dall’INPS stessa. L’OPL comunicherà tempestivamente tale data appena sarà resa nota.
  • Per fare la richiesta bisognerà necessariamente autenticarsi tramite SPID, CIE o CNS;
  • la richiesta potrà essere fatta anche da persona diversa dal beneficiario;
  • ogni beneficiario potrà effettuare una sola richiesta.


Come verificare che la domanda è stata accolta?

  • A conclusione del periodo di presentazione delle domande, INPS redige le graduatorie e individua i beneficiari sulla base dell’ammontare delle risorse disponibili;
  • l’INPS comunicherà direttamente ai beneficiari l’accoglimento della domanda specificando l’importo totale del beneficio erogato;
  • l’INPS comunicherà altresì ai beneficiari un codice univoco che dovrà essere comunicato al professionista che eroga le prestazioni oggetto del contributo economico.

Quando potrà essere “speso” il bonus?

Il beneficio deve essere utilizzato entro 6 mesi (180 giorni) dalla data di accoglimento della domanda.

Come utilizzare il contributo economico?

  1. Il beneficiario del contributo deve comunicare al professionista il codice univoco assegnato dall’INPS per la prenotazione della prestazione professionale.
  2. Il professionista inserisce tale codice sul sito dell’INPS specificando la data prevista per l’erogazione della prestazione;
  3. l’INPS comunica al beneficiario i dati della prenotazione, il beneficiario decide se usufruire della prestazione o disdirla;
  4. se la prestazione viene erogata il professionista emette fattura intestata al beneficiario e contenente il riferimento al codice univoco relativo. Il professionista inserisce nella piattaforma predisposta da INPS il codice univoco, il numero della fattura, la data di emissione e l’importo.


Quando verrà emesso il contributo per la prestazione oggetto del contributo economico?

INPS provvederà alla remunerazione delle prestazioni effettivamente erogate dai professionisti e per le quali sia stata emessa regolare fattura, entro il mese successivo a quello di emissione della stessa, tramite accredito diretto sul conto corrente comunicato dal professionista.

COVID-19: personale sanitario a rischio di sviluppare un Disturbo Post-Traumatico da Stress

L’emergenza genarata dal COVID-19 può avere un impatto negativo anche nel lungo periodo sul benessere psicofisico di medici, infermieri ed operatori sanitari.

Dalla comparsa del Covid-19 medici, infermieri ed operatori sanitari stanno lavorando senza sosta, secondo i ritmi imposti da un’emergenza inaspettata e di cui nessuno conosce la durata.

Ogni giorno sperimentano preoccupazione, ansia e paura perché ogni giorno sono a contatto con una malattia che si diffonde facilmente e che potenzialmente può essere letale.

Il Personale sanitario è coinvolto a diversi livelli nella gestione dell’emergenza sanitaria, molto in prima linea, tutti esposti ad un pericolo che non si può vedere e che quindi si fatica a fronteggiare.

Tutti temono in qualche misura di essere contagiati e di contagiare i propri cari, compagni, figli, genitori.

Nel corso degli ultimi mesi molti hanno sperimentato, anche occasionalmente o in modo transitorio, segnali da stress post-traumatico

  • disturbi del sonno
  • difficoltà di concentrazione
  • difficoltà di memoria
  • vulnerabilità a sviluppare una dipendenza
  • irritabilità e irrequietezza
  • chiusura e isolamento

Più a rischio di sviluppare disturbi a lungo termine, come sintomi depressivi, ansia e insonnia, sono invece proprio coloro che lavorano  in rianimazione e nelle terapie intensive, sottoposti a uno stress psicofisico ed emotivo estremamente grande perché più intensamente a contatto con la paura, l’angoscia di morte, la sofferenza fisica e psicologica.

Gli operatori che lavorano in contesti in cui ci si fa carico della sofferenza acuta sono formati e preparati a tollerare e affrontare situazioni molto complesse.

Sono comunque soggetti alla traumatizzazione vicaria e quindi più esposti alla possibilità di sviluppare disturbi psicopatologici.

 

Traumatizzazione vicaria

Un individuo può soffrire per l’esperienza diretta del trauma oppure per l’esposizione indiretta allo stesso. Questa condizione di forte carico emotivo e impegno percepito nella cura nascono in questo caso da un trauma subito da un‘altro individuo, in seguito al tentativo di supportarlo.

Come sottolineato dal Dr. Vittorio Lingiardi, psichiatra e professore ordinario di Psicologia dinamica presso la Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, la traumatizzazione vicaria è il trauma di chi deve guardare l‘inguardabile e deve intervenire.

Alcuni fattori hanno contribuito a rendere l’emergenza Covid-19 particolarmente difficile da sostenere dal punto di vista psicologico acuendone la connotazione di evento traumatico in particolare per il personale sanitario:

  • l’emergenza sanitaria si è diffusa con grande rapidità insieme alla consapevolezza dei rischi sulla salute di tutti i cittadini;
  • le risorse professionali e gli strumenti che avrebbero dovuto garantire la protezione e la sicurezza del personale in attivo nelle strutture ospedaliere e sul territorio non sempre sono stati disponibili ed efficaci;
  • le richieste sono state incessanti e i turni di lavoro particolarmente lunghi e impegnativi; è mancata la conoscenza certa sul virus, sull’evoluzione della sintomatologia, sulla gestione dei pazienti e scarse sono state le indicazioni e di cura e le risorse ospedaliere per il trattamento;
  • gli insuccessi sono stati molteplici e molte persone sono morte;
  • spesso, proprio a causa dell’emergenza, il personale è stato spostato, sono cambiate le mansioni, sono stati creati nuovi team di lavoro;
  • minore è stata la possibilità di ricevere sostegno e sentire il conforto di familiari ed amici

Compassion fatigue

In letteratura si parla di  compassion fatigue. I primi studi su questa condizione psichica hanno definito la compassion fatigue come una vera e propria sindrome, comune tra quei professionisti che lavorano a stretto contatto con le vittime di disastri, traumi o malattie, come il settore sanitario, che insorge acuta e improvvisa, e che può essere scatenata anche da una sola esperienza percepita come particolarmente critica dalla persona che ne è colpita.

I segni di questa condizione possono inoltre sfociare in un Disturbo Post-traumatico da Stress in seguito alla sperimentazione del trauma vicario.

Burnout

Il burnout è un’ulteriore forma di compassion fatigue (Beck 2011; Ricard 2015), tra le più gravi e drastiche conseguenze della scarsa qualità di vita professionale nelle professioni d’aiuto, e comporta una totale perdita d’interesse nei confronti delle persone a cui il professionista dovrebbe rivolgere le proprie attenzioni e cure. In particolare, è dimostrato che la persona in questo stato prova costantemente un esaurimento emotivo, tende a mettere in atto una depersonalizzazione della persona da curare, sperimentando una ridotta realizzazione personale, frustrazione e mancanza di gratificazione.

Disturbo Post Traumatico da Stress

Lo stress post-traumatico (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD), è una forma di disagio psicofisico che si sviluppa in seguito a esperienze traumatiche.

Definito e studiato negli Stati Uniti soprattutto a partire dalla guerra del Vietnam e dai suoi effetti sui veterani, riproposti poi in tutte le più recenti esperienze belliche, il PTSD può manifestarsi in persone di tutte le età, dai bambini e adolescenti alle persone adulte, e può verificarsi anche nei familiari, nei testimoni, nei soccorritori coinvolti in un evento traumatico.

Il PTSD può derivare anche da una esposizione ripetuta e continua a episodi di violenza e di degrado.

Secondo l’American Psychiatric Association (APA) i sintomi sono classificabili in tre categorie ben definite:

  • episodi di intrusione: le persone affette da PTSD rivivono ripetutamente l’esperienza traumatizzante sotto forma di flashback, ricordi, incubi o in occasione di anniversari e commemorazioni. I ricordi improvvisi si manifestano in modo molto vivido e sono accompagnati da emozioni dolorose e dal ‘rivivere’ il dramma. A volte, l’esperienza è talmente forte da far sembrare all’individuo coinvolto che l’evento traumatico si stia ripetendo.
  • volontà di evitare e mancata elaborazione: l’individuo cerca di evitare contatti con chiunque e con qualunque cosa che lo riporti al trauma. Inizialmente, la persona sperimenta uno stato emozionale di disinteresse e di distacco, riducendo la sua capacità di interazione emotiva e riuscendo a condurre solo attività semplici e di routine. La mancata elaborazione emozionale causa un accumulo di ansia e tensione che può cronicizzate portando a veri e propri stati depressivi. Al tempo stesso si manifesta frequentemente il senso di colpa.
  • ipersensibilità e ipervigilanza: le persone si comportano come se fossero costantemente    minacciate dal trauma. Le persone affette da PTSD possono manifestare difficoltà al controllo delle emozioni, irritabilità, rabbia improvvisa o confusione emotiva, depressione e ansia, insonnia. Reagiscono in modo violento e improvviso, non riescono a concentrarsi, hanno problemi di memoria e si sentono costantemente in pericolo. A volte, per alleviare il proprio stato di dolore, le persone si rivolgono al consumo di alcol o di droghe. Una persona affetta da PTSD può anche perdere il controllo sulla propria vita ed essere quindi a rischio di comportamenti suicidi.
  • Sintomi fisici: dal punto di vista più prettamente fisico, alcuni sintomi sono dolori al torace, capogiri, problemi gastrointestinali, emicranie, indebolimento del sistema immunitario.

Le conseguenze connesse al carico emotivo della cura estrema sono legate alla storia individuale di ogni persona e alle risorse specifiche che ognuno mette in campo nell’affrontare le difficoltà.

Il personale sanitario deve essere in grado di affrontare il dolore, la paura l’angoscia e la solitudine propria, dei pazienti e dei familiari. Queste persone sono chiamate a compiere scelte difficili, prendere decisioni importanti in tempi rapidissimi sul piano clinico e morale. Responsabilità, autoefficacia, livello di coinvolgimento e di controllo sulle situazioni, livello di minaccia o perdita, livello di assurdità e preavviso,  vissuti di impotenza e contatto con la morte ne influenzano la risposta emotiva. Possono provare stanchezza, frustrazione e rabbia

Il rischio di sviluppare un Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) cresce alla presenza di altri disturbi psicofisici e in caso di esposizione cumulativa ad eventi traumatici.

E’ importante che tutti gli operatori sanitari possano parlare di come si sentono e possano chiedere aiuto a professionisti specializzati nel lavoro sul trauma con una formazione specifica nell’elaborazione e integrazione di ricordi ed emozioni traumatiche. L’EMDR è considerato un trattamento d’eccellenza per la cura del disturbo post-traumatico da stress e per tutta la sintomatologia trauma correlata, sia psichica che fisica.

FASE 2: la giusta distanza

Siamo entrati nella fase 2, quella di convivenza con il virus.  Oggi siamo fortemente chiamati a riflettere su tempi e modi in cui entriamo in relazione con le persone, sulla giusta distanza da tenere per conservare uno sguardo benevolo e positivo su di noi e sull’altro, sul presente e sul futuro.

Dallo scorso gennaio la nostra vita è cambiata radicalmente. In poche settimane sono mutate abitudini, pensieri, paure.

Dall’inizio della diffusione del Covid-19 la Cina e a seguire molti altri paesi hanno preso la decisione di chiedere alla popolazione di restare in casa, di isolarsi.

Troppi i contagi, i malati a i morti.

Dall’8 marzo la Lombardia è stata chiusa. Sono state chiuse le scuole e a seguire sono state limitate fortemente le libertà di ciascuno. Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza internazionale da parte dell’OMS e poi dello stato di pandemia si è parlato di Lockdown. All’Italia è stato chiesto di chiudersi, di isolarsi, di sospendere tutte le attività non essenziali.

Ci siamo ritrovati in casa davanti alla tv inondati da notizie ad aspettare il bollettino quotidiano della Protezione civile in attesa di qualche segnale positivo.  Ci hanno chiesto di uscire solo per comprovate esigenze lavorative, per urgenze, per situazioni di necessità e per motivi di salute. Hanno vietato la possibilità di incontrare parenti, amici e colleghi.

Tanti sentimenti ed emozioni ci hanno accompagnati negli ultimi due mesi. Abbiamo sperimentato noia, ansia, tristezza, solitudine e possibilità di sentirci vicini in modi nuovi e un po’ originali. In alcuni momenti ci siamo sentiti troppo lontani e senza nemmeno la possibilità di sostenere, confortare o salutare persone care. In altri momenti abbiamo vissuto il senso di costrizione o angoscia per la convivenza forzata e continuativa in spazi esageratamente ristretti. Abbiamo affrontato lutti, perdita di affetti, di lavoro, di prospettive.

Dal 4 maggio siamo entrati nella Fase 2. Viene definito Fase 2 il momento in cui siamo usciti dalla quarantena ma nel costante rispetto delle norme di contenimento del virus. Il Covid-19 non scomparirà da un giorno all’altro: allentare le misure restrittive non significa poter tornare alla vita “normale” ma è necessario continuare a rispettare scrupolosamente le misure restrittive atte a contenere il contagio.

Nonostante questo stiamo sperimentando il desiderio, il bisogno e la necessità di un ritorno alle attività, alla possibilità di vivere lo spazio esterno, alle relazioni.

Tante domande si affollano nella mente. Ci interroghiamo sulla sicurezza, le regole da seguire, la giusta distanza da tenere dalle persone per sentirci vicini ma protetti, per non avere paura e restare in salute, per fare esperienze e recuperare motivazione ed entusiasmo.

Sulla scorta di queste riflessioni mi è tornato alla mente il dilemma del porcospino di Schopenhauer

Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione […] Con essa il bisogno del calore reciproco viene soddisfatto in modo incompleto, in compenso però non si soffre delle spine altrui”.

SCUOLA TRA RITUALITA’ E RELAZIONI

Con le misure restrittive conseguenti alla diffusione del Coronavirus sono cambiati i tempi della vita quotidiana, le abitudini, i ritmi e le ritualità. A ciascuno è stato richiesta grande flessibilità, capacità di adattarsi, capacità di fidarsi e affidarsi a decisioni che hanno fortemente modificato le modalità con cui affrontavamo tanti momenti della giornata.

In particolare per i bambini la ritualità è importante perché rende il mondo più prevedibile e quindi dà al piccolo la possibilità di approcciarsi ad esso con modalità più sicure e tranquille.

Un grosso elemento che fornisce struttura nella vita dei bambini e dei ragazzi è la scuola. La scuola è fatta di spazi, tempi ed attività definite e nel susseguirsi cadenzato di tutti questi aspetti si mettono in campo svariate competenze e abilità. Quelle stesse abilità e competenze che la didattica a distanza non può però privilegiare a scapito della relazione educativa.

In questo scenario agli insegnanti è chiesto di essere disponibili, informarsi, reinventarsi, trovare nuove modalità di fare lezione per mantenere vivi impegno e motivazione ad apprendere. Le famiglie devono fronteggiare, oltre al necessario e aumentato coinvolgimento per lo svolgimento dell’attività didattica e l’aiuto nei compiti assegnati, tensioni e ansie che riguardano la salute, il lavoro, la condivisione di luoghi ristretti in cui a volte è faticoso salvaguardare spazi personali.

Diverse mamme mi raccontano la fatica di queste settimane in particolare quando vengono assegnati compiti senza che i bambini abbiano la possibilità di vedere l’insegnante, stare con i compagni, vivere la scuola anche nella dimensione del gioco, della creatività, della socializzazione. Stanno meglio invece bambini e ragazzi aiutati a lavorare insieme, a sentirsi parte di una realtà che vive le medesime loro difficoltà ma che, nella possibilità di partecipare ad un progetto condiviso fatto anche di regole, di spazi e tempi definiti, trova le energie e le risorse fisiche ed emotive per fronteggiare le fatiche. Anche per i più piccoli è importante ricostruire la dimensione della classe per recuperare il senso della scuola in continuità con ciò che è stato e che sarà.

Sentimenti ai tempi del Covid-19: risorse e strategie per gestirli

L’ingresso del Covid-19 nelle nostre vite ha portato allo stravolgimento della realtà che viviamo e all’emergere di sentimenti a volte difficili da gestire. E’ importante attivare tutte le risorse e strategie per affrontare al meglio questa difficile situazione.

In pochi giorni grandissimi cambiamenti

A fine dicembre qualche caso di polmonite anomala veniva registrato in una città della Cina.

Il 10 gennaio 2020 l’Oms divulgava la notizia dell’individuazione di un nuovo ceppo di coronavirus e nei giorni successivi della trasmissione dello stesso da uomo a uomo.

In quei giorni la Cina ci sembrava ancora molto lontana e il sentimento prevalente era l’incredulità. La preoccupazione per il diffondersi del virus non occupava ancora i nostri pensieri.

I primi contagi in Italia risalivano alla fine di gennaio e di quegli stessi giorni l’Oms dichiarava lo stato di emergenza globale.

Il 21 febbraio 2020 si registravano contagi nella provincia di Lodi di persone non provenienti dalla Cina.

Da allora parole, gesti, pensieri, emozioni e relazioni sono rapidamente cambiati: si parla di malattia e contagio, isolamento, quarantena, chiusura delle scuole e poi di molte attività produttive, di zona rossa e di zona protetta, di decreti e restrizioni, di crisi economica. Ciascuno ha imparato ad interessarsi ai numeri del contagio, della guarigione e della morte.

In poche settimane abbiamo sentito vacillare molte sicurezze. L’imperativo per tutti è diventato Io resto a casa.

L’11 marzo L’Oms dichiarava lo stato di pandemia.

Dall’inizio della diffusione del Covid-19 la Cina e a seguire molti altri paesi hanno preso la decisione di chiedere alla popolazione di restare in casa, di isolarsi. Si parla di quarantena per chi è venuto a contatto con il virus e di vero e proprio isolamento per chi lo ha effettivamente contratto ed è positivo al tampone o sintomatico. La quarantena è la separazione e la restrizione del movimento delle persone potenzialmente esposte a una malattia contagiosa per accertare se si ammalano, riducendo così il rischio di infettare altri.

Nella fase in cui ci troviamo attualmente cresce la consapevolezza della necessità di restare a casa per proteggere noi stessi e gli altri, compresi quelli particolarmente vulnerabili cioè i molto giovani, gli anziani o le persone con condizioni mediche gravi preesistenti dal diffondersi del virus.

Il diffondersi del virus ha portato necessariamente al cambiamento radicale delle nostre abitudini di vita: impossibilità di uscire da casa se non per comprovate e importanti necessità, lavoro da casa, riduzione o interruzione dell’attività lavorativa, perdite finanziarie, riduzione dei contatti sociali e fisici con gli altri fino ad arrivare a modi diversi di vivere la malattia, la morte e il lutto

Dal punto di vista psicologico possiamo sperimentare differenti vissuti

  • Ci sono momenti in cui si vive una sensazione di irrealtà perché è difficile affrontare e accettare una situazione che nessuno era preparato a vivere
  • Nella situazione attuale abbiamo paura di ammalarci e di contagiare altri, di perdere una persona cara cosi come delle ripercussioni che questa situazione può avere sul lungo periodo.

La paura è un’emozione primaria cioè presente fin dalla nascita e molto utile per la sopravvivenza.

Si attiva quando percepiamo uno stimolo come dannoso cioè come una minaccia per il nostro organismo. Questo ci consente di proteggerci, difenderci, metterci in sicurezza e quindi ha un grande valore adattivo.

Ciascuno di noi sta vivendo questo periodo sperimentando, anche de in misura diversa da persona a persona, paura e ansia. Spesso la tendenza è di tenere la televisione accesa a lungo o controllare più volte al giorno notizie alla ricerca di nuovi aggiornamenti

Inoltre molti cercano i sintomi su internet prestando particolare attenzione ai segnali che provengono dal corpo nel tentativo di rassicurarsi.

Moderati livelli di attivazione, allerta e paura ci consentono di tollerare meglio il fatto di dover restare a casa e mantenere la distanza dalle persone, di indossare protezioni come guanti e mascherine, di rispettare precise norme igieniche come lavare accuratamente e disinfettare le mani e igienizzare le superfici.

La paura può diventare panico con la sintomatologia tipica o ansia generalizzata, per cui un pericolo limitato e contenuto di contagio viene generalizzato percependo ogni situazione come rischiosa ed allarmante.

La paura può prendere la forma dell’ipocondria, intesa come tendenza a eccessiva preoccupazione per il proprio stato di salute percependo ogni minimo sintomo come un segnale di infezione da Coronavirus.

  • E’ altrettanto comune sperimentare segnali di stress post traumatico dettati dalla portata dell’evento che stiamo vivendo, dall’esposizione ripetuta a immagini di dolore e di morte, dal protrarsi dello stato di incertezza.

Reazioni normali e comuni da stress post-traumatico possono essere disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, difficoltà nel memorizzare nuovi concetti, dipendenze, affaticamento o mancanza di energia, irritabilità e irrequietezza, tendenza alla chiusura e all’isolamento.

  • Ancora è possibile sperimentare rabbia per le limitazioni alla vita quotidiana e alla libertà, per una situazione percepita come ingiusta e non accettabile, per il crollo della progettualità.

La rabbia è anch’essa un’emozione primaria con funzione adattiva. E’ determinata dall’istinto di difendersi per sopravvivere nell’ambiente in cui ci si trova.

Molte persone sono alla ricerca di un colpevole che difficilmente può essere qualcosa d’invisibile e incontrollabile e che solleciterebbe vissuti di impotenza. Così può accadere di provare una rabbia anche molto intensa verso chi sottovaluta e non adotta comportamenti adeguati. Può aumentare la percentuale di atti impulsivi, dell’aggressività agita verso sé stessi o gli altri

  • Le caratteristiche del Coronavirus e la sua diffusione contribuiscono a farci sentire vulnerabili e spesso impotenti. Questo, unito alla perdita di rassicuranti abitudini quotidiane e del contatto con familiari ed amici, contribuisce alla crescita del disorientamento.
  • Infine la tristezza nasce dal contatto con la fatica, l’angoscia e il dolore che sentiamo sempre più vicino, con la perdita di prospettive e di speranza.

Per questo è importante mettere in campo diverse strategie per fronteggiare al meglio la situazione

  • Coltivare dove possibile le abitudini e proseguire nelle normali attività quotidiane aiuta a recuperare controllo e progettualità.
  • Per tollerare e gestire al meglio la situazione che stiamo vivendo occorre capire cosa sta succedendo e perché: è importante accedere all’informazione al massimo 1 o 2 volte al giorno al fine di prevenire un sovraccarico soprattutto emotivo e cercare informazioni da fonti ufficiali e affidabili basate su dati scientifici e dati reali
  • Non isolarsi cercando di mantenere vive le relazioni interpersonali anche con strumenti e modalità nuove come le videochiamate o le chiacchiere dai balconi permette di condividere, sentire meno la solitudine, distrarci e migliorare l’umore
  • Avere un ritmo di vita regolare cioè curare il corpo, l’alimentazione, dedicare tempo al riposo, cercare di dormire sempre alla stessa ora
  • Fare attività che aiutano a rilassarsi che coinvolgano la mente e il corpo (stretching e yoga, meditazione, lettura, cucina, giardinaggio, giochi o attività creative)
  • Dedicarsi a coltivare interessi, svolgere attività piacevoli e gratificanti migliora l’umore e rinforza un positivo senso di sé.
  • Fare esercizio fisico consente di attivare il corpo e calmare la mente, concentrarsi sul momento presente, scaricare almeno in parte la tensione, facilitare il sonno
  • Trovare modi per aiutare gli altri cercando modalità di coinvolgimento nelle proposte della e per la comunità a cui si appartiene consente una partecipazione attiva e costruttiva nella gestione dell’emergenza.

Provare tante emozioni spesso fastidiose e difficili da gestire è normale a fronte di ciò che sta accadendo. Ogni persona reagisce in modi differenti attingendo dalle proprie risorse e provando difficoltà in funzione di fragilità pregresse. E’ importante poter parlare con qualcuno da cui sentirsi accolti e compresi e se necessario chiedere aiuto per affrontare ed elaborare sia la quotidianità che le vicende più dolorose.